Il disastro della società

Davanti a me, in questo momento, due guardie di confine Svizzere hanno fermato due ragazzi. Questi due ragazzi non hanno soldi per pagare il biglietto, per questo il controllore ha immediatamente capito che qualcosa dal suo punto di vista non andasse.

Parlano, poi li perquisiscono. Non so neppure se ne abbiano il diritto, ma questi due “rifugiati” non conoscono i loro diritti, neppure credono di averne, di diritti. Sembrano venire dall’Afghanistan. Gli stanno chiedendo sempre più insistentemente da dove vengono. “Grecia? Italia? Bosnia?” Ora stanno controllando il treno, sempre più affannosamente in cerca di droga probabilmente, o qualcosa di simile.

Uno dei due ragazzi si lamenta, o almeno ci prova, mentre in modo molto goffo prova a mascherare con una falsa stupidità di non capire le loro domande.

Uno delle due guardie lo capisce, difatti sbotta: “Sei in Svizzera, che cazzo pretendi. Mannaggia a cristo in croce.”

Controllano i cassetti, i bagni, ed infine chiamano la centrale: “Abbiamo due ragazzi Afghani, ci fermiamo a Bellinzona e li rimandiamo a casa.” Continua a parlare con la centrale, provando a ricostruire il loro percorso. Gli dice che non rispondono, l’incomprensione linguistica è solo una parte, il resto è culturale.

Ora parla in Ticinese direttamente, con Michele, l’uomo dall’altra parte della radio.

Siamo quasi a Bellinzona, mancano 10 minuti forse meno.

La guardia chiama un’altra persona, Max. Max gli chiede subito se parliamo di minorenni, la guardia dice che non lo sa, non hanno documenti, ma ha dato per scontato immediatamente che fossero maggiorenni. Gli dice che glieli porterà presto, alla frontiera, e da li decideranno cosa fare.

Posso solo immaginare lo spavento di questi due ragazzi, adesso, in questa situazione.

“Se salta fuori qualcos’altro ti faccio sapere”. E chiude con Max.

La guardia si comporta in modo molto professionale, calmo. Non è aggressivo ed i due ragazzi non tentano di far nulla. Sono circondati, sconfitti, e ne sono consapevoli. Sei in Svizzera, che cazzo pretendi?

“How old are you?” gli chiede, ma loro non rispondono, borbottano qualcosa ma chiaramente hanno imparato a loro spese che non bisogna parlare, non bisogna fidarsi. Non sanno, non sanno che gli converrebbe dire che sono minorenni, rifugiati di guerra o qualsiasi cosa. Non lo sanno.

Si vedeva che non erano molto svegli, anche prima quando entrati sul treno mi hanno chiesto: “Zurich? Train Zurich?” In modo un po’ perplesso gli avevo detto: “Yes, Zurich.” Ma anche lì mi avevano guardato con occhi confusi, come se parlassimo lingue diverse, ma non solo dal punto di vista linguistico.

Anche la guardia si sente un poco in soggezione, ogni tanto mi guarda, non con tono di sfida ne di scusa, ma so che anche lei non è felice della situazione. Sembra una brava persona, che compie il suo dovere.

Siamo sempre più vicini, sempre di più.

Chi saranno questi due ragazzi? Perché saranno in Svizzera? Da cosa scappano? Cosa cercano? Che siano terroristi? Come cambierebbe la lettura di questo brano, se scoprissimo che fanno parte di una cella terroristica di Al Quada? Già, forse non molto, sarebbe la stessa storia di due poveri ragazzi senza famiglia e senza una patria. Perché questa è l’unica verità di chiunque si trovi in questa situazione, nessuno si ritrova a migliaia di chilometri da casa senza documenti ne soldi perché sta bene.

Lo speaker si apre e annuncia: “Gentili viaggiatori si annuncia che tra pochi minuti arriveremo a Bellinzona, questo treno continua per Zurigo stazione centrale.” Ma non ci arriveranno mai, loro, a Zurigo.

Avevo anche pensato: e se gli avessi comprato io i biglietti?  Ma questi due ragazzi sono palesemente due polli, dopo che il controllore li aveva beccati avrebbero dovuto ovviamente scappare, invece sono rimasti seduti là. Stupisce già come ci siano arrivati, a Bellinzona dall’Afghanistan.

Ma poi mi fermo, capisco che non avrebbe senso, non posso io decidere io di questa cosa, non posso neanche sapere cosa stia succedendo e se veramente siano preoccupati.

La guardia parla nuovamente al telefono, dice agli Italiani di “prepararsi”, intende che li spediranno a noi, questi rifugiati, e noi dobbiamo capire cosa farne. Così funziona a quanto pare. Non sanno neanche se siano arrivati dall’Italia ma va bene così, di certo di due immigrati clandestini Afghani non possono occupare il tempo della burocrazia Svizzera. Sei in Svizzera, che cazzo pretendi?

Il treno si ferma, ci siamo, la loro libertà finisce qua.

Vengono scortati fuori dalle guardie, non oppongono resistenza con il capo chino. Camminano e scompaiono all’orizzonte.

Non so cosa capiterà a questi due ragazzi, non so neppure come starà la guardia, e questa storia non vuole difendere né condannare nessuno, ma ogni giorno dovremmo ricordarci di quanto siamo fortunati, del fatto che non dobbiamo scappare da nessuna guerra, che non ci ritroviamo con uno zaino, senza nulla, in un paese straniero che ci nega ogni diritto e non avere una casa a cui tornare.

Li seguo con lo sguardo mentre il treno riparte, la loro ultima stazione, il risultato più lontano che siano riusciti a raggiungere, e chissà perché di tutte le mete hanno scelto proprio Zurigo, la capitale economica Europea dell’altezzosità, dove un povero lo riconosci a miglia di distanza, infondo, sei in Svizzera, che cazzo pretendi?

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