L’analfabetismo dell’anima

“Speriamo non faccia schifo…” disse il ragazzo all’entrata rivolgendosi verso la fanciulla che aveva di fianco, vestita in un abito con un meraviglioso tema floreale che incarnava l’essenza della primavera di cui si aveva così bisogno in quel momento. Era l’8 aprile e, da oramai diverso tempo purtroppo, dilagava la barbarie della guerra in Ucraina.

Il concerto di beneficenza organizzato dal teatro dell’opera di Roma a supporto della popolazione ucraina inizia da quando si entra. In fila, chiacchierando allegramente mentre scendono le scale, distese di vecchi agghindati con pellicce, anelli ed altri accessori anacronistici. Il meglio della borghesia e classe dirigente romana, tutto in ghingheri per il grande evento di beneficenza. Perché, si sa, la beneficenza oramai è un altro di quegli accessori futili. Io e la mia compagnia ci mettiamo a sedere, attendiamo con trepidazione l’inizio essendo genuinamente convinti che la bellezza dell’arte ci salverà. D’altronde, ho visto il programma, ci sono tra le mie composizioni preferite tra cui Siegfried’s Trauermusik, il brano più eroico e l’incarnazione stessa della resistenza dell’eroe nella battaglia con il male. Ammetto di non aver mai visto prima di quel giorno il film Apocalisse nel deserto ma, d’altronde, non posso che sedermi con le più rosee aspettative.

Inizia il concerto con un brano meraviglioso e anch’esso a me sconosciuto, la Musica del Silenzio di Valentin Silvestrov. Commovente, emozionante, se non fosse che il silenzio musicale veniva riempito dal rumoreggiare dei cellulari, da vecchi che parlano tra di loro di cosa hanno fatto nella giornata e cinquantenni che si mandano messaggi e video autocelebrativi su Whattsup. Di questi cinquantenni inoltre, la maggioranza si ritrovano raggruppati in famiglie comprendenti figli tutti in una fascia tra gli 8 ed i 14 anni, perché apparentemente vogliono abituare i loro figli a questi eventi culturali, pargoli che al di fuori di questi contesti non sono altro che barbari, mentre qui li troviamo tutti agghindati per andare a messa, ehm scusate al concerto. Nonostante l’attenzione al vestiario però, non lasciano passare invano alcuna occasione per dimostrarsi le bestie che sono, essendo d’altronde i cloni dei loro genitori.

Poi inizia Apocalisse nel deserto. Dopo circa i primi 10 minuti in cui, effettivamente, si parlava di una guerra, comincia un’enorme descrizione dell’orrore umano nello sfruttamento delle risorse, siano esse persone o la terra stessa. Così, con una sensazione crescente di forte disturbo cominciai a percepire il pensiero del dittatore artistico: “ricordiamo anche che non solo i russi ma anche gli americani sono cattivi e che tutte le guerre sono brutte”.

Il film, evidentemente, vuole essere un monumento al mostro consumistico che ci spinge a distruggere e consumare qualsiasi cosa l’uomo tocchi, che in questo caso assume la forma dello sfruttamento e della guerra nel golfo al fine di assicurarsi l’oro nero. Eppure, il film non fa altro che continuare a farmi chiedere: cosa c’entra?

Ma non solo, tutte quelle persone, là, a fissare vacue lo schermo e non capire quanto loro, noi, fossimo e siamo la causa di quella guerra che fu e di altre che ci sono ora. Di quanto sarebbero tornati a casa con i loro ghingheri, sulle loro auto a petrolio, bruciando e appunto distruggendo proprio come in quel documentario. Quanti di loro si saranno detti “da domani compro un auto elettrica o meglio vendo l’auto direttamente!”? Nessuno; e, inoltre, non posso continuare a non pensare cosa c’entri con la guerra in Ucraina. Tutto è uguale? Ogni guerra è uguale? Ogni fine è uguale?

Immediatamente però vengo distolto da questo pensiero e divento Alex DeLarge, entrando in un’atmosfera degna di Arancia Meccanica in cui il direttore d’orchestra ed il dittatore artistico facevano la parte degli aguzzini. Dalle immagini che mostravano la distruzione, l’esplosione, e quanto più di brutto ci sia nella nostra cultura contemporanea si sprigionava il suono della bellezza straziante e dal simbolo di rinascita del Siegfried’s Trauermusik. Come si può? Quale mente può inserire un brano di questa bellezza in un contesto così macabro e di morte? Non posso non pensare che quello che abbia fatto Werner Herzog sia un abominio, una bestemmia, uno stupro. Questo film o documentario, come lo si voglia chiamare, è violenza, ignoranza e incompetenza fuse insieme. Un sentimento di odio si sprigiona fortissimo in me nel voler difendere quell’opera d’arte che, ahimè, non può difendersi da sola e che viene violentata da un’orchestra eccezionale che, però, meglio suona e meglio martoria quel capolavoro.

Mi vergogno dell’umanità ed ho paura per la nostra società. Non riesco a non essere adirato per quanto ho visto: un fraintendimento profondo ed una banalizzazione del dolore e delle difficoltà delle persone in guerra. Un fraintendimento ed un’incapacità nel confondere un brano di speranza e rinascita in un contesto di morte. Dopo l’analfabetismo funzionale dovremmo cominciare a parlare dell’analfabetismo dell’anima. Una folla disumana di ignoranti disinteressati pieni di soldi e potere che non fanno altro che ingozzarsi ignoranti compiacendosi della propria obesità morale circondati da pseudoartisti che imitano o copiano le grandi opere di bellezza distruggendole.

Se la bellezza salverà il mondo, la violenza sulla bellezza è lo stupro dell’anima di tutti noi.

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